Non è certo la prima volta che sottolineiamo come la sostenibilità sia – o quantomeno debba essere o dovrebbe essere – una delle priorità aziendali a prescindere sia dalle dimensioni sia dal campo di attività dell’impresa: una sostenibilità intesa in senso ampio, che comprenda sì tutte le istanze ambientali – dalla riduzione delle emissioni alla compensazione di quelle inevitabili, alla progettazione di prodotti durevoli e riciclabili, alla minimizzazione degli sprechi – ma tenga conto anche delle ricadute in ambito sociale e territoriale della propria attività. Della sostenibilità fanno infatti parte sia la solidità economica dell’azienda (dal suo buon funzionamento dipende, ricordiamolo, il benessere di coloro che vi lavorano, ma allargando lo sguardo anche della filiera in cui si inserisce), sia l’impatto in positivo o in negativo sul territorio in cui opera nel piccolo e, più in generale, sulla comunità nazionale e internazionale.
Che una politica rivolta a un approccio sostenibile sia non più un cosiddetto “nice to have” – dunque qualcosa che dimostri un agire responsabile dell’azienda e le conferisce anche lustro – ma un vero e proprio “must have” – dunque un qualcosa assolutamente da avere – lo dimostra anche l’intenzione della Commissione Europea di allargare la platea di attori con obbligo di presentazione del Bilancio di Sostenibilità basato su criteri ESG – Environmental, Social e Governance – misurabili e certificati. Fino ad ora, ad avere l’obbligo di questa rendicontazione erano infatti solo emittenti quotati, banche e assicurazioni con oltre 500 dipendenti e uno stato patrimoniale di almeno 20 milioni di euro e/o un totale di ricavi netti di almeno 40 milioni di euro (D.Lgs. 254/2016 in attuazione della Direttiva 2014/95/UE).
Nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi inseriti nell’Agenda 2030, la volontà è quella di estendere il numero di soggetti con obbligo di rendicontazione, che passerebbero da poco meno di 12mila a circa 49mila: le nuove norme potrebbero infatti prevedere l’obbligatorietà a tutte le imprese quotate in borsa indipendentemente dalle loro dimensioni, le grandi imprese con uno stato patrimoniale di almeno 20milioni di euro e/o fatturato di almeno 40milioni di euro e/o 250 dipendenti, filiali UE di società non UE.
Se questi sono i soggetti che potrebbero essere obbligati alla rendicontazione per legge, a questi numeri dovrebbero aggiungersi tutti coloro che sarebbero soggetti a un obbligo indiretto: le aziende tenute all’attività di reporting chiederanno infatti con tutta probabilità ai propri fornitori di presentare a loro volta la documentazione necessaria.
A prescindere dagli obblighi esistenti e da quelli – più o meno vicini, seppur questa sarà la strada tracciata – futuri, resta da chiedersi se la scelta di adottare strategie responsabili, di misurare le performance e di organizzarle in un documento strutturato e asseverato per trasparenza verso tutti gli stakeholder debba essere solo il risultato di un preciso obbligo legislativo, o se non sia invece lecito sperare che il Bilancio di Sostenibilità sia la conseguenza naturale di un processo di cambiamento che veda la sostenibilità come parte integrante di ogni processo aziendale.
Noi vogliamo credere in questa seconda strada. D’altra parte, anche al di là del senso di responsabilità personale e della sensibilità di ciascuno, ogni azienda viene spinta sulla strada della sostenibilità da più direzioni: possibilità di allargamento della clientela o anche solo di mantenimento di quella attuale, possibilità di accesso al credito, rating aziendale sono sempre più legati a questi aspetti immateriali, che faranno presto la differenza, se già non la fanno.